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mercoledì, febbraio 09, 2005

I Catari

Catari o albigesi (XII - XIII - XIV secolo)

I catari furono la grande alternativa religiosa alla Chiesa Cattolica d'Occidente nel XII e XIII secolo.
Nei loro confronti la reazione della Chiesa fu fortissima e probabilmente proporzionata alla paura che questa setta potesse mettere in crisi l'intera istituzione cristiana.
Non si trattava infatti di singoli eretici da punire, ma di un fenomeno di vasta portata, a cui l'Europa occidentale medioevale non era abituata, e che ricordava i grandi movimenti religiosi eterodossi che avevano afflitto l'Impero Romano d'Oriente, come ad esempio i pauliciani. E' difficile altrimenti da spiegare la creazione di un potentissimo mezzo di repressione, come l'Inquisizione, la fondazione di un ordine religioso, i domenicani, preposti a confutare le dottrine catare e l'organizzazione di una crociata, con relativa licenza di massacro, di cristiani contro altri cristiani.
Tuttavia bisogna anche tener conto che, in quel momento, lo stesso potere di uno stato sovrano, come la Francia, già dilaniata dalla guerra dei Cent'anni con l'Inghilterra, avrebbe potuto essere messo in discussione da questa setta (o meglio dal suo alleato laico, il potente conte di Tolosa): essa quindi fu schiacciata dall'azione combinata di Stato e Chiesa.

La storia
A) I predecessori
Su questo punto, i commentatori e gli storici si dividono in due gruppi:
Coloro i quali vedono nei catari una continuità del grande filone dualista, dai gnostici a Novaziano ai manichei ai già menzionati pauliciani ai bogomili, e
Coloro che, pur non negando qualche similitudine con le sette dualiste precedenti, sono convinti della originalità del pensiero cataro, sviluppato come reazione alla corruzione dilagante nella Chiesa. Del resto anche le attività di predicatori itineranti all'inizio del XII secolo, come Pietro di Bruis, Enrico di Losanna, Tanchelmo di Brabante, Eon de l'Etoile, furono il segno di quel malessere, diffuso soprattutto a livello delle classe più deboli della popolazione, e che poté creare un substrato ideale per lo sviluppo di popolarità del catarismo.

B) L'inizio e i precursori
Già dal 1018, i cronisti Ademaro di Chabannes e Rodolfo il Glabro riferirono di “manichei” diffusi nella Francia meridionale, citando gli episodi di Leutard, i canonici di Santa Croce di Orléans, gli eretici di Arras. Simili episodi si segnalarono anche in altre nazioni, come ad esempio Gerardo di Monforte in Italia.
Nel 1143, Evervino di Steinfeld scrisse a San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) per informare sulla presenza nella Renania, a Colonia, di eretici, anche donne, organizzati in uditori e eletti, che accettavano solo il Padre Nostro come preghiera e si rifiutavano di frequentare le chiese e ricevere i sacramenti, eccetto una particolare forma di comunione. Gli eretici furono bruciati e Evervino si stupì che salissero serenamente, o addirittura con gioia, sul rogo. Di simili fatti narrò anche Ecberto di Schonau.
Pochi mesi dopo, lo stesso Bernardo accorse nella Francia meridionale, su invito del legato pontificio cardinale Alberico di Ostia, con lo scopo di intervenire contro le predicazioni di Enrico di Losanna a Tolosa, salvo poi rendersi conto dell'elevata diffusione del catari nella zona.
Ogni tentativo del Santo di convertire gli albigesi (come li chiamò dal nome della città di Albi) non ebbe successo e tre anni dopo, nel 1148, il concilio di Tours li condannò, stabilendo che, se scoperti, essi dovessero essere imprigionati e i loro beni confiscati.
Tuttavia queste disposizioni non sembra che avessero avuto particolare effetto, anzi proprio in Francia meridionale, nella Linguadoca e in Provenza, i catari si consolidarono maggiormente.
Questa regione, a ridosso dei Pirenei, nota anche come Occitania, era stata parte dell'ex regno dei Visigoti durante l'alto Medioevo, si era sviluppata come cuscinetto tra il regno dei Franchi a Nord e gli Arabi a sud ed era, dal punto di vista politico, linguistico, culturale e della tolleranza, profondamente diverso dal resto dell'odierna Francia. Infatti gli occitani parlavano la lingua d'oc, e non l'oil come nel resto della Francia, avevano sviluppato la lirica dei trovatori (alcuni dei quali, come Guglielmo Figueira, furono catari), tolleravano gli ebrei e i pensatori eterodossi cristiani.
Vent'anni dopo la missione di San Bernardo, nel 1165 a Lombez fu tenuto un pubblico contraddittorio tra teologi cattolici e catari, con a capo un tale Oliviero, che si risolse in un nulla di fatto.
Fu in quel periodo che i cattolici iniziarono a chiamarli catari, sulla cui etimologia gli autori dell'epoca hanno concepito due teorie: più probabilmente dal greco Kàtharoi cioè puri, o più folcloristicamente dal latino medioevale catus, gatto, un classico travestimento di Lucifero, al quale gli eretici, durante i loro riti (secondo i loro detrattori), baciavano le terga! Furono anche denominati pubblicani o pobliciani o populiciani, in collegamento ad un'altra eresia medioevale dualista, il paulicianesimo. Un ulteriore nome fu “bulgari”, dal paese originario della setta dei bogomili o “manichei” per un collegamento con l'eresia di Mani o impropriamente “ariani” (o arriani) per una connessione con le tesi cristologiche di Ario. Dal mestiere abitualmente svolti da molti dei credenti furono anche chiamati tixerand, dal antico francese per tessitori, mentre grande confusione fanno ancora alcuni autori anglosassoni, che si ostinano a chiamarli patarini, confondendoli con il noto movimento riformista, e non certo dualista, della Pataria del XI secolo.
Invece i catari chiamarono se stessi sempre e semplicemente boni homini o boni christiani.

Nel 1167, essi tennero il loro concilio a Saint-Félix de Caraman (o de Lauragais), vicino a Tolosa, al quale parteciparono il vescovo bogomila Niceta (impropriamente definito il “papa cataro”), e i vescovi della Chiesa di Francia, Robert d'Espernon e di Italia, Marco di Lombardia, oltre a Siccardo Cellarerius di Albi e Bernard Catalanus di Carcassonne, in rappresentanza delle altre realtà catari francesi. La presenza di Niceta servì ad avvallare la tesi che il bogomilismo di tipo assoluto, tipico della Chiesa di Dragovitza, in Bosnia, aveva influenzato in maniera decisiva la dottrina catari se non fin dall'inizio, almeno da questo momento in avanti.
Inoltre, il movimento nella Francia meridionale fu ristrutturato in quattro chiese: Agen, Tolosa, Albi e Carcassonne.

C) La reazione dei cattolici
Il periodo tra il 1178 ed il 1194 vide il fallimento di diversi tentativi di avvicinamento tra cattolici e catari in Linguadoca, mentre nel 1194 divenne conte di Tolosa, Raimondo VI (1194-1222), che era favorevole ai catari e sul cui territorio poterono svilupparsi indisturbate le diocesi catari di Agen e Tolosa. Tuttavia anche quelle di Albi e Carcassonne non correvano particolari rischi, in quanto comunque in territorio amico, essendo sotto il controllo del visconte Raimond-Roger Trencavel, nipote di Raimondo VI.
La svolta si ebbe nel 1198 con la salita al trono pontificio di Papa Innocenzo III (1198-1216), ideatore di una vera e propria campagna contro i catari
Dapprima egli inviò nel 1207-1208 famosi predicatori come (San) Domenico di Guzman (n. 1170- m.1221) e Diego d'Azevedo, vescovo di Osma, per cercare di convertire i catari, ma i dibattiti pubblici, come già precedentemente quelli del 1165, non approdarono ad alcun risultato, anzi i teologi catari, come Guilhabert de Castres, ne uscirono a testa alta.
Allora Innocenzo passò alle vie di fatto e bandì una crociata contro gli albigesi, prendendo come pretesto l'assassinio (in realtà a sfondo politico e non certo dogmatico), a Saint-Gilles nel 1208, del legato papale e monaco cistercense Pietro di Castelnau, al quale forse non era estraneo lo stesso Raimondo VI, scomunicato dal legato stesso nel 1207.
Alla Crociata parteciparono vari nobili della Francia settentrionale, come il Duca di Borgogna ed il Conte di Nevers, ed avventurieri di pochi scrupoli, attratti sia dall'indulgenza dai peccati, che, molto più materialmente, dalle possibilità di saccheggio o addirittura di divenire padroni delle città della Linguadoca. L'esercito crociato contava un totale di 20.000 cavalieri e oltre 200.000 soldati e servi al seguito.
Il 22 luglio 1209 la prima città ad essere posta sotto assedio, Béziers fu espugnata dai crociati, e il legato papale Arnaud Amaury, abate di Citeaux, interrogato su come si potesse distinguere gli abitanti cattolici da quelli catari, pronunciò la famigerata e tremenda frase: “Uccideteli tutti, Dio saprà riconoscere i suoi”. Furono massacrate 20.000 persone e Amaury ricevette le congratulazioni dal Papa in persona!
Stessa sorte toccò a Carcassonne, dove fu imprigionato e morì in carcere il visconte Raimond-Roger di Trencavel.
Dal 1210 i crociati, con a capo Simon IV de Montfort, conquistarono una impressionante serie di città o cittadine catari : Agen, Albi, Birou, Bram, Cahusac, Cassés, Castres, Fanjeaux, Gaillac, Lavaur, Limoux, Lombez, Minerve (qui 140 catari si gettarono spontaneamente nelle fiamme), Mirepoix, Moissac, Montégut, Montferrand, Montrèal, Pamiers, Penne, Puivert, Saint Antonin, Saint Marcel, Saverdun, Termes, furono tutte espugnate secondo un crudele copione ben collaudato: seguivano mutilazione di nasi, occhi, orecchie e ovviamente l'onnipresente rogo dove bruciare gli eretici.
Un episodio per tutti fu la conquista di Lavaur nel 1211 con il rogo di ben 400 catari e l'uccisione di Giraude di Lavaur, una nobile catari, sorella del comandante della guarnigione, molto timorata di Dio e amata da tutti i suoi concittadini, anche cattolici. Giraude fu gettata in un pozzo e lapidata a morte dai crociati.
Ogni signore locale di queste città lottò per la sua sopravvivenza, anche se questa significava passare per faydit, colui che era eretico o proteggeva gli eretici ed i suoi terreni venivano dati in ricompensa ai crociati.
Nel 1212 intervenne nella crociata, prendendo le difese dei tolosani, anche il re d'Aragona, Pietro I (1177-1213), cognato di Raimondo, poiché molte delle terre in questione almeno formalmente facevano parte del suo regno. Fra gli Aragonesi ed i crociati la lite degenerò in guerra, ma all'assalto di Muret, con i crociati, tanto per cambiare, nel ruolo di assediati, Pietro fu ucciso.
Il boccone più difficile per i crociati si rivelò l'assedio della capitale Tolosa del 1217-1218, dove Simon de Montfort venne ucciso da una pietra lanciata da una donna. Prese allora il comando della crociata l'inetto figlio di Simon, Amaury VI de Montfort, con scarso successo.
La situazione politica comunque stava già cambiando tutta a favore del re di Francia, sia nel 1215, quando il futuro re di Francia Luigi VIII il Leone (1223-1226) era intervenuto personalmente nelle operazioni militari, che nel 1224 quando lo stesso, diventato sovrano obbligò Amaury di fare dono di tutte le terre conquistate alla corona di Francia.
Oltretutto l'incapacità di Amaury permise ai catari ed ai conti di Tolosa di serrare le fila, prima della parte finale della guerra voluta da Papa Onorio III (1216-1227) e condotta da Luigi VIII in persona, e, per questo, denominata Crociata reale (1226-1228).
Alla fine nel 1229, Raimondo VII di Tolosa (1222-1249) spossato da una guerra, che aveva totalmente stravolto il Mezzogiorno della Francia, accettò una pace, mediata da Bianca di Castiglia, madre del nuovo re minorenne Luigi IX (1226-1270), e ratificata con il trattato di Meaux. Raimondo conservò parte delle sue terre, cedendo il resto alla Francia, dovette dichiarare la sua fedeltà al re, ma soprattutto negare ogni appoggio ai boni homini.

D) La fine
A questo punto ai militari subentrarono gli inquisitori domenicani e francescani, la cui attività era stata ufficializzata nel 1233 dal Papa Gregorio IX (1227-1241) come Inquisitio heretice pravitatis.
Gli inquisitori, odiati dalla popolazione locale, imperversarono sul territorio per circa 100 anni (1233-1325), in realtà facendo uccidere meno persone di quanto si è portati a credere (solitamente solo i catari “perfetti”, che si rifiutavano di abiurare), ma utilizzando metodi di tortura e pressione psicologica di una sottile efferatezza.
L'odio per gli inquisitori si concretizzò ad Avignonnet nel 1242, dove due di essi (Arnauad Guilhelm de Montpellier e Étienne de Narbonne) e il loro seguito furono massacrati.
Questo fu il pretesto per scatenare un ultimo colpo di grazia ai catari asserragliati nella fortezza di Montségur il cui assedio nel 1243-1244 fu l'atto finale della guerra contro i catari
Montségur era infatti diventata, dal 1232, l'ultimo baluardo della resistenza catari, voluta da Guilhabert de Castrés.
Nel maggio del 1243 la fortezza, difesa da Raimond de Péreille e dal perfetto Bernard Marty, fu posta sotto assedio da parte delle truppe del siniscalco di Carcassonne, Hugues de Arcis, ma solo nel marzo del 1244, gli assedianti espugnarono la roccaforte. Immediatamente furono eretti i tristemente noti roghi, sui quali Bernard Marty e 225 catari furono bruciati.

E) Il movimento in Italia
L'Italia settentrionale e centrale, assieme alla Francia meridionale, fu l'area geografica dove si sviluppò maggiormente il catari: secondo l'ex cataro Raniero Sacconi, erano circa 2.500 alla ½ del XIII secolo, anche se questo dato si riferiva solo ai cosiddetti “perfetti”. Si suppone quindi che il movimento includendo credenti e simpatizzanti, fosse molto diffuso.
Il primo vescovo di tutti i catari italiani fu, come si è detto, Marco di Lombardia e il suo successore fu Giovanni Giudeo, ma in seguito il movimento si frazionò in sei chiese locali;
Chiesa di Desenzano (sul Lago di Garda) l'unica che praticava un dualismo di tipo assoluto e i cui adepti si chiamavano albanensi, dal nome del primo vescovo Albano. Altri vescovi degni di nota furono Belesinanza e soprattutto il massimo teologo catari Giovanni di Lugio.
Chiesa di Concorrezzo (vicino a Monza), la maggiore in Italia e i cui membri si chiamavano garattisti, dal nome del loro primo vescovo Garatto. Seguirono Nazario e Desiderio, ma con l'abiura dell'ultimo vescovo, Daniele da Giussano, la chiesa si estinse.
Chiesa di Bagnolo San Vito (vicino a Mantova), i cui fedeli venivano chiamati bagnolensi o coloianni, dal nome in greco del loro primo vescovo Giovanni il Bello. Si estinse con l'abiura degli ultimi due vescovi, Albertino e Lorenzo da Brescia. A questa chiesa appartenne segretamente anche Armanno Pungilupo, morto nel 1269 e proposto per la canonizzazione in quanto ritenuto in vita persona di notevole rettitudine e santità e fatto oggetto, dopo morto, di venerazione e pellegrinaggi. Purtroppo un'inchiesta, voluta da Papa Bonifacio VIII rivelò che Pungilupo era, per l'appunto, un catari e quindi fu condannato postumo.
Chiesa di Vicenza o della Marca di Treviso, fondata dal primo vescovo, Nicola da Vicenza, seguito da Pietro Gallo, noto per la confutazione delle sue dottrine da parte di S. Pietro Martire da Verona ,che, secondo una leggenda, fu un cataro pentito, diventato poi un inquisitore domenicano.
Chiesa di Firenze, fondata da Pietro (Lombardo) di Firenze e di cui si ricorda il famoso condottiero ghibellino Farinata degli Uberti, cantato nell'Inferno di Dante.
Chiesa di Spoleto e Orvieto, fondata da Girardo di San Marzano e proseguita da due donne, Milita di Marte Meato e Giuditta di Firenze. La chiesa si estinse con l'abiura dell'ultimo vescovo, Geremia.
Le ultime cinque praticavano un dualismo di tipo moderato, di origine bulgara (Concorrezzo) o dalla Sclavonia (le altre quattro).
Il catari in Italia seguì un destino diverso rispetto alle chiese sorelle in Francia, e ciò era dovuto all'appoggio che spesso le fazioni ghibelline, in chiave antipapale, accordavano loro. Il tutto perdurò fino alla battaglia di Benevento del 1266, quando la sconfitta del partito ghibellino e l'affermarsi di quello guelfo degli Angioini, fece mancare i potenti appoggi, goduti dai catari fino a quel momento.
Iniziò il declino ed anche in Italia venne il momento della resa dei conti finale: una “Montségur” locale, cioè l'espugnazione nel 1276 della rocca di Sirmione, dove si erano asserragliati i vescovi delle chiese di Desenzano e Bagnolo San Vito e numerosi perfetti italiani e occitani. Tutti furono arrestati e portati a Verona, dove 174 perfetti furono bruciati sul rogo nel 1278.

F) Il revival cataro
Infine, verso la fine del XIII secolo, si ebbe in Francia un nuovo rifiorire delle dottrine catari, portate dai fratelli Guglielmo e Pietro Authier, da Amelio de Perles e da Pradas Tavernier, che si erano formati presso i catari lombardi ed erano quindi tornati per predicare in Francia: Pietro fu catturato e bruciato nel 1310 per ordine del famoso inquisitore Bernardo Gui.
Ufficialmente l'ultimo catari fu Guglielmo Belibasta, tradito dal catari rinnegato Arnaldo Sicre e bruciato nel 1321 per ordine dell'inquisitore Jacques Fournier, che sarebbe poi diventato Papa Benedetto XII (1334-1342).
Da quella data il catari cessò di esistere, almeno esteriormente, mentre probabilmente proseguì in forma segreta e limitata a pochi adepti.

La dottrina
I catari erano dei dualisti cristiani, che accettavano il Nuovo Testamento, e in questo si distinsero dai manichei, con i quali venivano spesso accomunati dai cattolici. Essi credevano nell'esistenza di due principi contrapposti, il Bene ed il Male, impersonificati rispettivamente dal Dio santo e giusto, descritto nel Nuovo Testamento, e dal Dio nemico o Satana.
Come si è detto, il catari si divideva in due filoni: quello assoluto e quello moderato.
Per i dualisti assoluti, i due Dei erano sempre esistiti in una eterna lotta ed avevano creato i loro due mondi, quello dello spirito e contrapposto quello imperfetto della materia, il mondo nel quale viviamo noi.
Per i dualisti moderati, Satana non era un dio, ma un angelo ribelle caduto, che aveva comunque creato il mondo materiale.
Alcuni degli angeli (circa un terzo), cioè gli spiriti, furono lusingati ad unirsi a Satana, che li intrappolò successivamente nei corpi umani, impedendo loro di ritornare dal Dio giusto.
L'anelito continuo, quindi, dello spirito, dalla sua dolorosa prigionia nel corpo dell'uomo, era quello di poter tornare un giorno da Dio Padre, cosa che i catari cercavano di fare attraverso il Consolament, durante la loro vita, perché altrimenti sarebbero stati costretti a subire una continua metempsicosi (passaggio dello spirito da un corpo all'altro, anche animale), fino a potersi riunire di nuovo con Dio.
La figura di Cristo, solo apparentemente, coincideva con la dottrina cattolica. In realtà non era affatto così: i catari credevano che Cristo fosse un angelo di Dio, chiamato Giovanni, secondo Belibasta, che era sceso sulla terra sotto forma di puro spirito. Quindi anche i catari aderivano al concetto docetista della mera apparenza della nascita, sofferenza e morte di Cristo sulla terra.
Automaticamente venivano a cadere due simboli cristiani, legati alla vita terrena di Cristo: la croce, che i catari negavano, se non odiavano, e la transustanziazione, la trasformazione cioè, del pane e vino in corpo e sangue di Cristo durante l'eucaristia, che i catari respingevano con orrore.

I riti e la liturgia
I catari rifiutarono la maggior parte dei riti e delle liturgie cristiane per utilizzare le proprie, che erano:
Innanzitutto il Consolament, una forma di rito complesso con imposizione delle mani, fatto ad adulti, che riuniva in sé il valore dei sacramenti cristiani del battesimo, della comunione, della ordinazione e della estrema unzione. Con questa cerimonia, il catari da semplice fedele diventava un “perfetto”. Molti credenti aspettavano di essere in fin di vita per chiedere il Consolament e preferivano a quel punto lasciarsi morire per digiuno, per non rischiare di essere esposti alle possibilità di peccato. Questa pratica si chiamò endura e diventò popolare nel periodo del tardo catari, quando la scarsità di “perfetti” poteva rendere impossibile una seconda cerimonia di Consolament, se fosse stata necessaria.
Il Melhorament, un'elaborata forma di saluto tra catari
L'Aparelhament, una confessione pubblica dei propri peccati.
La Caretas, un bacio rituale di pace.
La recita del Padre Nostro, in pratica, unica (eccetto alcune invocazioni minori) preghiera accettata dal catari, con alcune significative correzioni del testo: il riferimento al “pane soprasostanziale” al posto del “pane quotidiano”, inteso non come cibo materiale ma come insegnamenti di Cristo, e l'aggiunta in fondo alla preghiera della postilla “perché Tuo è il regno, la potenza e la gloria nei secoli dei secoli. Amen”. I perfetti avevano l'obbligo di recitarlo più volte al giorno, solitamente in serie da sei (sezena), da otto (sembla) o sedici (dobla).

Come vivevano e come erano organizzati
Dal punto di vista alimentare, i perfetti catari erano vegetariani, abolendo dalla loro dieta carne, uova, latte e derivati, ma curiosamente non il pesce e i crostacei, e praticavano spessissimo il digiuno a pane e acqua, nella Quaresima, nell'Avvento, dopo la Pentecoste e tre giorni alla settimana o come penitenza per peccati di lieve entità.
Non potevano mentire ed erano inoltre casti, condannando il matrimonio e l'unione sessuale, che portava alla procreazione, come atto tipico del mondo materiale creato da Satana e che perpetrava continuamente la catena delle reincarnazioni, proprio quello che i catari cercavano di spezzare.
Infine essi erano tenuti al precetto di non uccidere, il che li mise spesso in forte crisi quando si trattava di difendersi durante la crociate e le successive campagne di persecuzioni dell'Inquisizione. Questi precetti, tuttavia, non si applicarono ai semplici fedeli e simpatizzanti, che poterono invece prendere le armi per difendere la propria causa.

Per quanto concerne l'organizzazione, il capo della comunità o della chiesa assumeva il titolo di vescovo, secondo i cronisti cattolici dell'epoca, mentre il perfetto, destinato a succedergli veniva denominato “figlio maggiore” e quello destinato a succedere a sua volta “figlio minore”. Pare invece improprio il titolo di “papa” cataro, attribuito a Niceta.

I testi
A parte il Nuovo Testamento, i catari avevano prodotto una copiosa letteratura, per la maggior parte andata distrutta durante le persecuzioni. Ci sono giunti:
Il Liber de duobus principiis, scritto da Giovanni di Lugio, vescovo della chiesa di Desenzano e maggiore teologo catari
La Interrogatio Iohannis, un apocrifo bogomilo portato in Italia da Nazario, vescovo della chiesa di Concorrezzo, che si ispirava alla Genesi e agli apocrifi della Bibbia.
Un altro apocrifo bogomilo, la Visione di Isaia, tradotto in provenzale da Pietro Authier.
Varie versioni dei rituali catari, sia quello utilizzato dai francesi, denominato occitano, che quello usato dagli italiani, chiamato latino.
Gli atti del concilio di Saint Felix de Caraman, trascritti in un testo, denominato Carta di Niceta, scritto tra il 1223 ed il 1226, di cui ci sono giunte delle copie del XVII secolo.

Tratto da I catari